aldo serena, ancelotti che gli sputo’ addosso,il signore che ci provo’ con lui, luisa corna

Aldo Serena, lei era «il bomber con la valigia» di Inter, Juve, Milan, Toro, ma anche Bari e Como. Si ricorda cosa mise nella borsa quando lasciò il Veneto?

«Mia mamma mi portò di forza nel più bel negozio di Montebelluna e mi comprò una Lacoste, un paio di pantaloni nuovi, una borsa e un borsello, che non amavo».

(…)

Dei suoi primi 18 anni in Veneto, cosa le è servito?

«Quando ho smesso me lo sono chiesto, perché non avevo doti da fuoriclasse: ci ho messo la memoria, nel senso che mi sono sempre ricordato da dove arrivavo; poi ho sempre ascoltato molto, anche se poi decidevo di testa mia. E infine osservavo sempre quelli più bravi di me».

Resistere alle tentazioni era complicato?

«Non sono stato un monaco di clausura, anzi. Ma ho sempre cercato di avere i ritmi giusti. Adesso i calciatori hanno meno libertà di divertirsi».

Ha continuato a studiare?

«Mi sono iscritto all’Isef senza dire niente a nessuno, perché Bersellini all’Inter non voleva distrazioni. Ma fin da piccolo con Salgari e Verne mi è sempre piaciuto leggere».

Un libro che l’ha segnata?

«‘Le memorie di Adriano’. Poi ho tutti i libri di McEwan e Philip Roth».

Sulla Stampa ha scritto di aver sognato il suo ex allenatore Radice. Sogna spesso?

«Sognavo mio padre, dopo la sua morte. Ma un sogno così limpido non l’avevo mai fatto.

È stato bello perché ho ritrovato l’affetto di una persona importante. Mi è dispiaciuto che finisse».

Altri incontri insoliti?

«Al bar Radetzky di Milano, Ferragosto 1995 in una Milano deserta: entra Bruce Springsteen a bere una birra. Ma non voglio disturbarlo o forse temo che risponda male e mi cada un mito: non trovo il coraggio di salutarlo. E dire che quando passai dal Toro alla Juve e dovevo firmare per il prestito a casa del presidente dell’Inter Pellegrini, andai da lui dopo mezzanotte: direttamente dal concerto del Boss».

«Ero innamorato di Platini per come giocava: aveva tutto quello che non avevo io. Poi mi sembrava impossibile che potesse esistere un calciatore come Scirea: bravo, buono, competitivo ma rispettoso degli altri. Con Nicola Berti ho avuto un’amicizia terapeutica: io portavo solidità ed equilibrio lui mi ha tirato fuori la leggerezza e la spensieratezza. Ci vediamo ancora».

Van Basten le tirò la sabbia in faccia. Vi chiariste?

«No. E nemmeno con Ancelotti che mi sputò addosso. Ma Carlo al Milan mi fece dei complimenti dopo un’amichevole: mi tese la mano».

Vincere a Torino è diverso rispetto a Milano?

«Torino guarda al passato e io da nostalgico mi sono trovato benissimo. Milano guarda al futuro, brucia tutto. Ma le vittorie me le sono godute ovunque: il primo scudetto alla Juve fu una notte di fuoco».

«È forte dalla cintola in su»: con questa frase l’Avvocato la destabilizzò?

«No perché Boniperti gli disse che aveva sbagliato e mi tranquillizzò: da ex campione fu il dirigente più grande».

Da ragazzino era interista perché il Milan la scartò?

«No, perché ero un bastian contrario rispetto ai miei amici. Ora si dice che i ragazzi trascurano il calcio, ma noi ne vedevamo pochissimo: per far crescere la passione forse l’attesa dell’evento è meglio dell’evento in sé».

Ha mai rischiato di finire dentro il buco nero del rigore sbagliato a Italia 90?

«Mi ha creato dei problemi, penso di aver avuto una crisi di panico. Avevo le gambe durissime, respiravo in modo strano: il portiere mi sembrava un gigante. Non ricordo nulla dell’errore, né di tutto quello che è successo dopo: un black out di due giorni».

Roby Baggio non si perdona ancora l’errore del 1994.

«Io me lo sono perdonato, perché per andare avanti devi chiudere la porta. Però resta la parentesi peggiore della mia carriera: tornando indietro, cambierei il lato del tiro».

La sua storica fidanzata venne a una sola partita. E lei uscì in barella.

«Il calcio non le piaceva».

Luisa Corna e a sua moglie Cristina sono le altre due donne della sua vita?

«Sì, è vero. Ma mi faccia citare ancora Gianni Agnelli: ci sono uomini che parlano di donne e uomini che parlano con le donne. Faccio parte della seconda categoria».

Se la cava con classe.

«Posso dire che quando sei giovane, giochi a calcio e hai visibilità è difficile tenere a freno la primavera milanese».

Follie per amore?

«In quel contesto, essere fedeli era un’impresa ardua».

Luisa Corna la conquistò con l’aiuto di Giò Ponti?

«Vivevo nella casa dell’architetto, nella mansarda della figlia. Lei, come suo padre, mi scriveva dei messaggi composti da parole e figure. E io ho scritto a Luisa la mia prima lettera in questo modo un po’ artistico: ha funzionato».

Ha mai ricevuto attenzioni maschili?

«C’era un signore che aveva un’agenzia di viaggi che lavorava con l’Inter. Mi disse che doveva fare un articolo su di me per un giornale canadese, perché a 18 anni avevo esordito con un gol alla Lazio. Andai nel suo ufficio di San Babila, di sera. Mi disse di portare la divisa sociale, per fare delle foto e mi chiese di cambiarmi. Andai in un’altra stanza e quando sono tornato e lui ha cominciato a farmi degli apprezzamenti ho capito che la situazione non era chiara: mi sono cambiato di nuovo e me ne sono andato».

Diaz nell’Inter dei record e Piccinini a Mediaset sono stati i suoi partner perfetti?

«Sì è vero. Ramon aveva un altruismo unico, insolito per un attaccante. E Sandro è stato la mia fortuna: lui mette la riuscita del prodotto davanti a tutti, anche a sé stesso».

Con Galliani che accadde?

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