L’ex capa dei servizi elisabetta belloni apre le valvole su giorgia meloni e l’addio al dis

“SONO FINITA IN UN TRITACARNE. LE TENSIONI CON TAJANI E MANTOVANO? NON È NECESSARIO PIACERE A TUTTI” – L’EX CAPA DEI SERVIZI, ELISABETTA BELLONI, APRE LE VALVOLE SU GIORGIA MELONI E L’ADDIO AL DIS: “A MAGGIO SCADEVA IL MIO MANDATO, QUANDO HO AVVERTITO CHE GIÀ COMINCIAVANO A CIRCOLARE VOCI SUL MIO FUTURO E SUL MIO SUCCESSORE HO RITENUTO FOSSE ARRIVATO IL MOMENTO DI LASCIARE. GLI ULTIMI MESI POTEVANO DIVENTARE UNO STILLICIDIO” – “IL CASO CECILIA SALA? SONO ANCORA IN CARICA E NON VENGO MENO AI MIEI DOVERI. PER QUESTO MI FA ANCORA PIÙ MALE ESSERE DIPINTA COME UNA CHE SCAPPA” – IL POSSIBILE INCARICO NELLO STAFF DI URSULA VON DER LEYEN CON LO ZAMPINO DI MARIO DRAGHI, ANCORA MOLTO INFLUENTE A BRUXELLES, E IN ASSETTO ANTI-DUCIONI…

«Una cosa ci tengo a dirla ed è l’unico motivo che mi fa rompere il riserbo che mi sono imposta in tutti questi mesi: non vado via sbattendo la porta». Il piglio e la determinazione di Elisabetta Belloni non sembrano scalfiti. «Il tritacarne in cui sono finita in questi giorni mi impone di chiarire quanto è successo e soprattutto di sgomberare il campo da illazioni che fanno male non tanto a me quanto al Paese, soprattutto in un momento così delicato».

La direttrice del Dis ha presentato le dimissioni e il 15 gennaio andrà via.

(…) Per questo il primo chiarimento lo ha avuto con la premier Giorgia Meloni. Un rapporto, il loro, che è sempre stato segnato dalla stima e dalla franchezza, tanto che fu proprio la premier a volerla sherpa del G7 nonostante fosse anche il direttore della struttura che coordina i servizi segreti. E con la quale, sottolinea adesso, ha condiviso ogni passaggio del proprio percorso, fino all’uscita.

Le date sono importanti e allora vale la pena tornare all’11 dicembre quando l’Italia passa il testimone della presidenza del G7 e dunque termina anche l’incarico di Belloni. Lei, che in ogni momento cruciale nella storia del Paese è sempre stata indicata come la possibile candidata, spiega di aver capito che anche con il nuovo anno «sarei tornata sulla graticola».

Prima dell’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale fu proprio quello di Belloni il nome accreditato dal centrodestra come presidente della Repubblica. E anche dopo la caduta del governo Draghi ci fu chi la inserì nella rosa dei possibili capi del nuovo esecutivo.

È accaduto di nuovo a dicembre, quando il ministro al Pnrr Raffaele Fitto è stato nominato vicepresidente della Commissione europea e le indiscrezioni davano come ormai imminente la designazione di Belloni al suo posto.

Prima di una girandola di altre voci che accreditavano però la contrarietà del ministro degli Esteri Antonio Tajani e il suo cattivo rapporto con il sottosegretario Alfredo Mantovano, titolare della delega ai servizi segreti. Prese di posizione che avrebbero alla fine convinto tutti sulla necessità di fare una marcia indietro suonata come una vera e propria bocciatura. È stato soprattutto questo a disturbarla e convincerla che per lei «gli ultimi mesi di mandato sarebbero stati un vero e proprio stillicidio».

Le tensioni dell’ultimo anno non può smentirle, sa bene di aver scatenato nel corso della carriera invidie e avversioni. «Ma io sono un funzionario dello Stato, faccio il mio lavoro e non è obbligatorio piacere a tutti o andare d’accordo con tutti. Purché questo non metta in discussione i risultati, come infatti non è avvenuto.

Però a maggio scade il mio mandato, quando ho avvertito che già cominciavano a circolare voci sul mio futuro e soprattutto sul mio successore ho ritenuto fosse arrivato il momento di lasciare. E ne ho parlato con i miei interlocutori istituzionali, prima fra tutti la premier Giorgia Meloni e il sottosegretario Mantovano. È con loro che, sin dagli inizi di dicembre, abbiamo tracciato la strada per una transizione tranquilla e senza scossoni».

Belloni ci tiene a chiarire che tutto era avvenuto ai primi di dicembre consapevole che il 19 dicembre comincia il dramma che coinvolge Cecilia Sala. La notizia viene tenuta riservata fino al 27 dicembre, ma governo e intelligence sono già al lavoro. Il 16 dicembre, su richiesta delle autorità statunitensi che lo accusano di associazione a delinquere, violazione della legge sulle armi e terrorismo, è stato arrestato a Malpensa l’ingegnere iraniano Mohammad Abedini.

Tre giorni dopo, il 19, Sala è stata prelevata nel suo albergo a Teheran alla vigilia della partenza per il ritorno in Italia e rinchiusa nel carcere di Evin. La condizione posta dall’Iran è perentoria: nessuna consegna agli Stati Uniti, lei sarà liberata soltanto quando anche lui sarà libero.

È l’inizio di un intrigo internazionale tuttora in corso e proprio questo alimenta critiche e interrogativi per la scelta di Belloni. Era davvero opportuno confermare le dimissioni? Non sarebbe stato meglio attendere che Cecilia Sala rientrasse in Italia prima di rendere noto l’addio?

Su questo Belloni è categorica: «Io sono ancora in carica e non vengo certamente meno ai miei doveri. Per questo mi fa ancora più male essere dipinta come una che scappa o addirittura che va via lasciandosi macerie alle spalle. Non è così, non potrebbe mai essere così. Non a caso era stata concordata un’uscita nel massimo della trasparenza. Purtroppo è andata diversamente e per questo sento l’obbligo di chiarire come stanno davvero le cose».

La scelta è fatta, le ultime voci accreditano per lei un futuro nello staff della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: «Sarebbe un onore ma anche su questo voglio essere chiara nel dire che non c’è nulla di deciso. Al mio futuro comincerò a pensare il 16 gennaio».

 

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