Le pulci di lorenzetto – titolo da ‘t’: trump e ‘mask

“Pulci di notte” di Stefano Lorenzetto da “Anteprima. La spremuta dei giornali di Giorgio Dell’Arti” e pubblicato da “Italia Oggi”

«Ad Amsterdam, la città di Anna Frank, hanno linciato gli ebrei strada per strada, albergo per albergo, con i taxi guidati da islamisti che coordinavano le aggressioni con le modalità del pogrom. E noi qui, a cominciare da chi il 27 gennaio chinerà il capo contrito per declamare un sempre più insincero “mai più”, a scambiare il linciaggio per un banale tafferuglio tra ultras di squadre rivali», s’indigna Pierluigi Battista sul Foglio.

Ma il linciaggio è un’«esecuzione sommaria non preceduta da regolare processo», specifica Lo Zingarelli 2025, e a noi non risulta che ad Amsterdam di recente sia stato ucciso qualche ebreo.

Poi esiste la locuzione linciaggio morale («La sistematica denigrazione dell’onorabilità di qualcuno o delle sue capacità, da parte dell’opinione pubblica», Devoto-Oli), ma la formula non si adatta per nulla a quanto raccontato da Battista.

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Titolo da Il T, quotidiano del Trentino Alto Adige che fa capo a varie organizzazioni imprenditoriali locali, tra cui Confindustria: «Trump e Mask? A spaventare è la normalizzazione di alcune condotte». Benvenuti al cinema Giornalismo.

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Secondo Gabriele Romagnoli, autore sulla Repubblica di un commento a proposito dell’inaugurazione della presidenza statunitense, Donald Trump avrebbe dimostrato «la superiore confidenza del ri-conquistatore: Edmond Dantes senior in abito blu», e pigramente un redattore titola in prima pagina «Edmond Dantes senior in abito blu».

Ma l’eroe positivo del popolarissimo romanzo di Alexandre Dumas padre, ambientato nella prima metà del XIX secolo, si chiama Edmond Dantès. Sarebbe un bel complimento, peraltro senza accento, da parte del quotidiano che esprime una linea avversa a Trump, ma temiamo che si tratti piuttosto di ignoranza crassa giacché il fluviale romanzo Il conte di Montecristo nella cultura popolare è divenuto emblema sì della vendetta, ma di chi ha subìto un’ingiustizia gravissima.

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Su Panorama, Maurizio Tortorella si occupa dei Paesi che hanno cominciato ad attrezzarsi con riarmo, difese, bunker e persino nuovi cimiteri in vista di una possibile guerra, a causa delle crescenti minacce di Vladimir Putin.

A chiusura del servizio, egli rivela: «Un altro grande rifugio atomico, 13 mila metri quadri a 150 metri di profondità, risale agli anni Sessanta e si trova ad Affi, vicino a Verona. Può resistere a un’esplosione da 100 chilotoni (la bomba di Hiroshima ne scatenò 15), e null’altro è dato sapere».

Per la verità, su quel rifugio si sa tutto, ma proprio tutto. Il suo nome in codice era West Star, fu costruito fra il 1960 e il 1966 ed era affidato alle Ftase (Forze terrestri alleate del Sud Europa), che lo usarono fino al 2004, quando il comando della Nato, alloggiato nel Palazzo Carli della città veneta, fu sciolto.

È talmente famoso da essere stato fotografato fin nei suoi minimi recessi dai visitatori nel corso di visite guidate, tant’è che nel 2010 la Regione Veneto stanziò 300.000 euro «per la valorizzazione turistica culturale del rifugio anti-atomico denominato West Star di Affi».

Nel 2018 la proprietà demaniale del sito descritto come misterioso da Tortorella è passata al Comune di Affi, che intende destinarlo a sede di un museo sulla guerra fredda. Si direbbe pertanto che il panorama di Panorama sia piuttosto angusto.

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Dall’editoriale di prima pagina del direttore della Verità, Maurizio Belpietro: «Una sessantina di autonomi occuparono la palazzina di corso Regina Margherita a Torino, sede di enti di beneficenza all’incirca trent’anni fa. Da allora gli estremisti di sinistra non se ne sono più andati, ma anzi lo hanno trasformato in una specie di fortino della contestazione». Il gender dilaga.

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Sul supplemento domenicale del Sole 24 Ore doppio maccheronico sfondone redazionale, sia nel titolo che nella notizia di una «Lectio Petris» con ben due cardinali, Mauro Gambetti e Gianfranco Ravasi. In latino il nome Petrus è della seconda declinazione e dunque bisognava scrivere «Lectio Petri», evitando assonanze tentatrici con la celeberrima espressione lectio magistralis (che nessuno pronuncia più in latino, tanto meno in Vaticano).

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