Nel caso Garlasco, quello che un tempo era considerato un intricato enigma investigativo si è ormai trasformato in un campo di battaglia giudiziaria. Mentre la Procura di Pavia continua a scavare nel passato per cercare una nuova verità sull’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007,
la difesa di Andrea Sempio — l’amico del fratello della vittima e nuovo indagato — alza i toni e rilancia. Al centro del duello legale c’è Massimo Lovati, storico penalista di Vigevano e figura combattiva che ha preso a cuore la causa del giovane, cercando di smontare uno a uno gli indizi che oggi lo riportano nella bufera mediatica e giudiziaria.
Intervistato dal Corriere della Sera, Lovati non si risparmia e attacca con decisione quelli che considera elementi probatori deboli, costruiti più per creare un “mostro” che per fare giustizia. “Ha scarsissima valenza, così come il dna sulle unghie di Chiara”, dice con tono secco riferendosi alla celebre impronta trovata sul muro della scala vicino al corpo della ragazza. Il riferimento è alla prova che, insieme al Dna parzialmente compatibile, ha riacceso i riflettori su Sempio. Ma l’avvocato non ci sta: “Non c’è nessuna falsità nell’alibi, e i post di Sempio contro Stasi nel giorno della condanna? Irrilevanti”, taglia corto.
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Lovati ha voluto spiegare anche perché, a 73 anni, ha deciso di abbracciare questa causa: “Mi sono preso a cuore la vicenda di questo giovane innocente che vorrei salvare. L’impronta non ha valore, perché loro non sono gli oracoli di Delfi. Sono solo dei consulenti di parte. Per carità, gente qualificata quella del Ris, ma sempre di parte”. E prosegue: “Non li conosco questi due scienziati, ma io adesso avrò i miei e valuteranno. Ho già chiesto al generale Garofano di aiutarmi a trovarli. Loro dicono, dicono, ma devono anche spiegare perché lo dicono, come ci sono arrivati. I 15 punti coincidenti? Vedremo…”.

C’è amarezza nelle parole del legale, che accusa apertamente i media di aver travisato la realtà, esprimendo certezze dove a suo dire ci sono solo ipotesi: “Mi dà fastidio che diano per scontate cose che non lo sono. Quella non è l’impronta di Sempio, io contesto che lo sia. Contesto radicalmente la consulenza, come ho già contestato quella del Dna. Facciano un altro incidente probatorio, così ci sarà un perito super partes”. Quanto all’assenza di Sempio all’interrogatorio congiunto con Alberto Stasi, Lovati chiarisce che si è trattato di una scelta strategica: “Mancava un requisito formale. Ma è stato un bene che non sia andato, così almeno hanno svelato quello che dovevano svelare. Se si presentava ci prendevano alla sprovvista e magari gli facevano delle domande suggestive”.


Lovati non ha esitazioni nemmeno nel commentare la linea difensiva della sua collega Angela Taccia, anche lei nel collegio difensivo di Sempio, finita nel mirino per il post “guerra dura senza paura”: “E quante ne dite voi per fare spettacolo? Questo è un circo. State facendo il processo alla mia giovane collega, poverina, perché ha scritto una frase che non sta né in cielo né in terra, e in questo avete ragione. La chiamerei similitudine, un’enfasi se vuole, Cicerone era maestro di queste cose”.
Concludendo con uno stile che richiama più il linguaggio dello sport che della giurisprudenza, Lovati lancia un monito alla Procura: “Non mi piace come portano avanti l’inchiesta, mi devono portare rispetto: capo d’imputazione ondivago, convocazione del cliente senza avvertirmi. Il gioco dev’essere leale”. E sui veri responsabili? Il penalista si mantiene sibillino: “Io un’idea ce l’ho, ma non la dico perché non è suffragata da fonti di prova. Non è Stasi e non è Sempio. Per me è stato un sicario. Idea sul mandante? Sì, ce l’ho… e me la tengo!”.