Federica Pellegrini, la Divina del nuoto italiano, e Matteo Giunta, suo allenatore e marito, raccontano al Corriere della Sera la loro storia e la nascita della figlia Matilde nel libro In un tempo solo nostro. “Ho avuto un grande mentore, Alberto Castagnetti — dice Federica —, poi ho trovato Matteo. Prima preparatore atletico, poi coach… e alla fine mio marito”

Un amore nato in piscina, tra corteggiamenti ironici e un primo bacio “a una festa di Halloween”, ricorda lei:

“Sapevo che la sua base alcolica non era solida come la mia, ho puntato su quello”. Lui scherza: “Mi nascondevo nel bagagliaio per non farci scoprire. Mi è venuta la sciatica”.

Federica ripercorre anche i momenti più duri della carriera:

“Ho attraversato momenti molto difficili. Sono andata via di casa dopo l’Olimpiade di Atene, a sedici anni. Vivevo a Milano con altre tre ragazze, lontano dalla mia famiglia. Mi sentivo sola, e lo ero. Qualsiasi cosa facessi ero sulla bocca di tutti, vivevo in costume, avevo i miei sbalzi ormonali, che la testa ingigantiva, e che la gente percepiva. Così sono diventata bulimica. Per fortuna sono sempre stata una persona molto introspettiva; quando ho capito che quello che stavo facendo a me stessa non andava bene e mi danneggiava a livello sportivo, è cominciata la risalita”.

Il marito e coach aggiunge:

“Oggi cerchiamo di far capire ai giovani che ci sono strumenti per affrontare ansie e paure. Il fallimento fa parte del percorso”.

La campionessa confessa la fragilità dietro la forza:

“La paura di fallire l’ho avuta fino all’ultima gara. Così mettevo sempre il 110%”. Persino il ciclo mestruale le ha cambiato un’Olimpiade: “Nel 2016 ho gareggiato nel periodo peggiore. Arrivai quarta, ma quella sconfitta mi ha salvato la vita”

Poi la maternità, arrivata dopo mesi d’attesa.

“Quando ci provi e ci metti più del previsto, sembra non arrivi mai. Ma Matilde è il nostro miracolo”, dice Federica. Il parto, però, è stato drammatico: “48 ore di follia, poi un cesareo d’urgenza. Quando ho sentito il pianto, tutto è cambiato”. Matteo ricorda: “È la gioia più grande, ma anche la più difficile da gestire. Un figlio non salva la coppia: la mette alla prova”

Federica parla con sincerità del “baby blues”:

“Sono stata vicina alla depressione. Credo sia iniziato tutto da un parto così complicato: quando ho preso la bambina in braccio ero già stanchissima. È stato un accumulo di stanchezza. Quindi i primi due mesi sono stati molto difficili. La prima notte in ospedale, guardando mia mamma, mi sono messa a piangere. Non so perché stessi piangendo, e questa cosa si è protratta nel tempo: sempre la sera, sempre a un certo orario, con accensioni che non capivo neanche da dove venissero. A un certo punto scoppiavo in un pianto dirotto, e non sapevo perché. Poi abbiamo scoperto che era questo “baby blues”, che per fortuna non è mai sfociato in una depressione post partum, ma è appena un gradino sotto. Anche gestire questa cosa non è stato facile. Per fortuna non ho vissuto uno degli effetti della depressione: il rifiuto di mia figlia. Anzi, allattare mi faceva stare meglio; anche se aggiungeva altra fatica. E poi Matilde nei primi due mesi non ha mai avuto sonno”.

Oggi Matilde “nuota già da quando aveva due mesi”, dice mamma Fede. “Lo sport non sarà un diktat”, ribatte Matteo. “Certo che lo è”, sorride lei.