È arrivato quello che gli inquirenti definiscono il primo punto fermo dell’incidente probatorio dedicato al materiale genetico recuperato sul corpo di Chiara Poggi, s
egnando una tappa decisiva in un’indagine che, a più di sedici anni dal delitto, continua a produrre svolte inattese. La perizia depositata ieri e acquisita agli atti conferma un elemento già emerso nei giorni scorsi e che ora, in un eventuale processo, assumerebbe valore di prova.
La genetista incaricata dal tribunale valuta da “moderatamente forte a forte” la possibilità che l’indagato abbia contribuito alla traccia trovata sotto le unghie della vittima. Una conclusione che rimette al centro la figura di Andrea Sempio, oggi trentasettenne, amico del fratello di Chiara e indagato per omicidio. Nella relazione, la genetista Denise Albani ribadisce quanto comunicato nel corso delle ultime udienze e in linea con quanto già sostenuto dai consulenti della Procura di Pavia, Carlo Previderé e Pierangela Grignani. L’aplotipo Y isolato sotto le unghie di Chiara sarebbe compatibile con il profilo genetico maschile della linea patrilineare di Sempio, un collegamento che riapre scenari investigativi considerati per anni marginali.
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Nel documento si legge infatti che, dall’analisi dell’“aplotipo misto parziale in singola replica non consolidato Y428 – MDX5” e dal confronto con gli altri profili, “è emersa l’esclusione di tutti i soggetti di interesse a eccezione di Sempio Andrea (e di tutti i soggetti di sesso maschile imparentati con lo stesso per via patrilineare), risultato non escluso quale contributore alla traccia su 12 dei 12 loci tipizzati”.
È in questo passaggio che la perizia assume la sua forza più significativa. Albani spiega che, considerando la presenza di un contributore sconosciuto, “l’ipotesi che Sempio Andrea (e tutti i soggetti imparentati con lo stesso per via patrilineare) abbia contribuito alla traccia Y428 – MDX5 è approssimativamente da 476 a 2153 volte più probabile rispetto all’ipotesi secondo cui due soggetti ignoti di sesso maschile non imparentati abbiano contribuito alla traccia mista di interesse”. Valori che, come sottolinea la stessa genetista, “si traducono, rispettivamente, in un supporto che va da moderatamente forte a forte (sulla base della popolazione di riferimento) all’ipotesi che Sempio Andrea (e tutti i soggetti imparentati con lo stesso per via patrilineare) abbia contribuito alla traccia Y428 – MDX5”. Una conclusione che si ripete, anche se con dieci loci invece di dodici, per l’altra traccia rinvenuta sotto un’unghia differente.

Questa nuova valutazione scientifica rappresenta un netto contrasto con quanto sostenuto anni fa dal perito Francesco De Stefano durante l’Appello bis, quello che portò alla condanna definitiva di Alberto Stasi a sedici anni come unico autore del delitto. All’epoca, De Stefano aveva reputato la traccia troppo degradata e non consolidata per poter essere attribuita con certezza, anche perché i campioni erano stati usati in modo differenziato in tre sessioni analitiche. Albani, invece, lavorando sui dati grezzi del 2007 e confrontandoli con quasi quarantamila profili presenti nelle banche dati, è arrivata a un risultato radicalmente diverso: l’aplotipo Y corrisponderebbe alla linea genetica maschile di Sempio o dei suoi parenti di sangue, mentre nessuna corrispondenza riguarderebbe Stasi.
Con queste conclusioni sul tavolo, l’attenzione ora si sposta sulle reazioni delle parti, chiamate a confrontarsi il 18 dicembre nell’ultima udienza dell’incidente probatorio davanti alla giudice Daniela Garlaschelli. Il genetista della famiglia Poggi, Marzio Capra, ha già definito quei risultati “nulli”, mentre i legali di Sempio, Angela Taccia e Liborio Cataliotti, sembrano intenzionati a sostenere la teoria del “trasferimento” accidentale: il dna del commesso sarebbe finito sulla vittima perché entrambi avrebbero toccato lo stesso oggetto. Una tesi che promette di diventare uno dei punti più dibattuti nella prossima fase procedurale.

Nel frattempo, la perizia Albani segna una nuova, pesante svolta in un caso che per anni è sembrato immobile. Il dna sotto le unghie di Chiara Poggi, considerato per molto tempo un dato fragile e non utilizzabile, si ripresenta ora come l’elemento capace di riaccendere l’indagine e di ridefinire gli equilibri di un processo che continua a trovare, nel dettaglio scientifico, la sua zona di maggiore complessità.