C’è un genere letterario che negli ultimi anni si è ritagliato uno spazio preciso nel racconto dei social network, una sorta di sottocategoria de
l necrologio digitale che trasforma il lutto in una vetrina personale. Un meccanismo ormai riconoscibile, che scatta puntuale ogni volta che scompare una figura pubblica e che potremmo sintetizzare come “il lutto come occasione per parlare di me”. In queste ore a finire sotto la lente è stato un post di Anna Falchi, dedicato alla scomparsa di Brigitte Bardot, capace di accendere un dibattito molto più ampio del semplice omaggio.
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Il messaggio pubblicato su Instagram si apre in modo apparentemente lineare, con parole che suonano come un tributo classico. “Oggi è venuta a mancare quella che ho sempre considerato la donna più bella e anticonformista del mondo, Brigitte Bardot“. Una frase che, presa da sola, rientra perfettamente nel linguaggio del cordoglio pubblico, fatto di ammirazione, nostalgia e riconoscenza verso un’icona che ha segnato un’epoca.

Anna Falchi, bufera dopo le parole su Brigitte Bardot
È subito dopo, però, che il racconto prende una piega inattesa. A corredare il testo non ci sono immagini della diva francese, ma una serie di fotografie della stessa Anna Falchi. Una scelta che non passa inosservata e che viene spiegata dall’attrice con il riferimento a una “lieve somiglianza” che le sarebbe stata “molto generosamente riconosciuta nel passato”. Nel post Falchi racconta di essersi spesso ispirata alla Bardot nei servizi fotografici, ringraziandola per averle “fatto sognare” e per averle “portato fortuna”. Il tutto si chiude con un “Per Sempre BB” accompagnato da un cuore, ma il centro emotivo del messaggio appare ormai spostato.

Proprio questo slittamento dall’omaggio all’autobiografia è ciò che ha innescato la reazione del pubblico. Nei commenti si moltiplicano osservazioni ironiche e critiche, che intercettano un fastidio sempre più diffuso verso questo tipo di narrazione. Tra i messaggi più condivisi ce n’è uno che riassume bene il sentimento generale. “Anna premetto che io ti seguo e ti stimo da molto tempo ma alla fin fine in questo post non stai omaggiando la grande Brigitte,ma stai omaggiando solo te stessa con tanto di foto solo tue (Che neanche Claudia Schiffer oggi ha osato) Certo che qualche foto di B.B non avrebbe guastato….”.

Il caso Falchi non nasce dal nulla e non è isolato. Ogni volta che muore un personaggio famoso, i social si riempiono di ricordi che finiscono per raccontare più chi scrive che chi viene ricordato. C’è chi pubblica vecchi selfie con il defunto, chi ripesca aneddoti marginali, chi rivendica incontri fugaci come momenti decisivi della propria vita. Il lutto diventa così un pretesto narrativo, un gancio emotivo per riaffermare la propria presenza nello spazio pubblico digitale.
In questo contesto, il post dedicato a Brigitte Bardot assume un valore quasi paradigmatico. Non tanto per l’intenzione dichiarata, quanto per l’effetto finale, che trasforma un addio a una leggenda del cinema in un racconto personale, centrato sull’immagine e sull’identità di chi scrive. È forse questa la vera notizia che emerge dalla polemica, più ancora della singola scelta comunicativa: la difficoltà, nell’era dei social, di distinguere il ricordo dall’autopromozione, il cordoglio dalla necessità di restare al centro della scena.