Il 13 agosto 2007 segnò per sempre la comunità di Garlasco e l’intero Paese: nella casa di famiglia fu trovata senza vita Chiara Poggi, uccisa in circostanze che, a distanza di 18 anni, continuano a generare dibattiti e sospetti. Per quell’omicidio venne condannato in via definitiva l’allora fidanzato, Alberto Stasi,
ma oggi, mentre la ricorrenza riporta alla mente il ricordo della vittima, il caso riemerge in una nuova luce. È infatti in corso un’indagine parallela che vede come indagato Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, accusato di omicidio in concorso. Una circostanza che apre interrogativi inquietanti: esiste la possibilità che in carcere vi sia un innocente? E la verità dei fatti potrebbe essere diversa da quella sancita nelle aule di tribunale?
Se ne discute anche in televisione, con il talk di Canale 5 Morning News che dedica spazio al caso. Tra gli ospiti, Annamaria Bernardini De Pace, nota esperta di diritto di famiglia e avvocato matrimonialista, non nasconde la sua posizione: per lei, le basi per una revisione del processo ci sarebbero tutte. “Ci sono eccome – afferma – dal momento che ci sono tutti questi dubbi e c’è la prova di tutti questi errori, la sentenza deve essere rivista”. L’avvocato auspica che il percorso legale venga riaperto e che Stasi possa essere dichiarato innocente, arrivando perfino a ottenere un risarcimento per “gli anni che ingiustamente ha passato in carcere”.
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Il punto centrale, sottolinea Bernardini De Pace, è che quella che ha condannato Stasi non sarebbe stata, a suo avviso, “una sentenza al di là di ogni ragionevole dubbio”. In altre parole, mancherebbe la certezza assoluta necessaria a privare un uomo della libertà. Le sue parole rinfocolano un dibattito che, nell’opinione pubblica, non si è mai sopito e che in questi giorni si intreccia con le nuove indagini.

A replicare è il giornalista Antonio Caprarica, già volto storico dell’informazione Rai, che si dice in totale disaccordo. Ricorda che “gli avvocati di Stasi, a tuttora, una richiesta di revisione non l’hanno presentata”, aggiungendo che solo nel momento in cui verrà depositata si potrà valutare se esistano davvero i requisiti. Fino ad allora, sostiene, ogni ipotesi è pericolosa: “Stiamo disseminando solamente una terrificante sfiducia nei confronti di quello che dovrebbe essere il principale guardiano della nostra convivenza civile, se dopo 18 anni noi mettiamo in discussione una sentenza di colpevolezza”.
Caprarica, tuttavia, non nega le ombre sul primo procedimento, ammettendo che “quell’indagine fu segnata da sciatteria, negligenza, superficialità e che più ne ha più ne metta”. Una critica che estende anche alla nuova inchiesta, dove a suo dire “abbiamo già un imputato” e si starebbe procedendo con una tecnica investigativa che definisce “pesca a strascico”: si lancia la rete nella speranza che qualcosa resti impigliato, metodo che secondo lui non dovrebbe mai essere alla base della ricerca della verità.

Il caso Poggi, a quasi due decenni di distanza, resta dunque un terreno minato di opinioni contrastanti, documenti contestati e piste riaperte. Tra chi invoca la revisione della condanna e chi teme un danno irreversibile alla fiducia nella giustizia, la sensazione è che la storia di quella mattina d’agosto a Garlasco sia ancora lontana dal suo capitolo finale.