Il caso dell’omicidio di Chiara Poggi continua a suscitare riflessioni e alimentare un acceso dibattito pubblico a distanza di quasi due decenni dai fatti. In questi giorni, a riaccendere i riflettori è stata la partecipazione del giornalista Salvo Sottile a una nuova puntata del podcast Un Altro Pianeta, condotto da Hoara Borselli.
Durante l’episodio, Sottile ha offerto una lettura personale e lucida di una vicenda che ha segnato profondamente la cronaca nera italiana, condividendo alcune considerazioni su Alberto Stasi, l’unico condannato per il delitto avvenuto nel 2007 nella villetta di Garlasco.
Nel corso della conversazione, il giornalista ha sottolineato un aspetto spesso trascurato nel dibattito pubblico: la costanza di Stasi nel dichiararsi innocente. “È sempre rimasto coerente alla sua verità, non ha mai cercato scorciatoie e si è sempre dichiarato innocente”, ha spiegato Sottile, parlando di un giovane che, pur avendo completato gli studi e ottenuto una laurea in ingegneria, ha vissuto gli anni più importanti della sua vita dietro le sbarre. “Era quasi rassegnato a rinunciare alla propria vita di ragazzo”, ha ammesso, lasciando emergere un lato umano spesso ignorato nel racconto mediatico.
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Il punto di partenza dell’intervento è stato l’aggiornamento sull’inchiesta: la Procura di Pavia, infatti, ha aperto una nuova indagine per valutare la possibile responsabilità di altre persone nell’omicidio. A sostenere la riapertura del caso sono stati alcuni elementi tecnici e la richiesta, da parte della difesa di Stasi, di una revisione scientifica di tutti i reperti analizzati nel corso del tempo. Un’iniziativa che, se dovesse dare esiti favorevoli all’ex fidanzato di Chiara, porterebbe a uno scenario clamoroso.

E proprio su questo punto Sottile si è lasciato andare a una riflessione sincera e per certi versi spiazzante: “Non so se riuscirà a dimostrare la sua innocenza. Ma la verità è che spero di no”, ha detto. Non certo per ostilità verso Stasi, ha precisato subito dopo, ma per un timore più grande: “Significherebbe che siamo di fronte al più clamoroso errore giudiziario della storia italiana”. Una frase che pesa come un macigno, e che obbliga a fare i conti con l’effettiva capacità del nostro sistema giudiziario di evitare condanne ingiuste.


Il giudizio del giornalista, per quanto personale, si inserisce in un dibattito ben più ampio che da anni ruota attorno al caso Poggi: la difficoltà di conciliare giustizia e verità, l’impatto delle prove scientifiche e, non da ultimo, il ruolo dei media nella costruzione della narrazione collettiva. La vicenda di Garlasco, con i suoi intrecci tra processi, perizie, contraddizioni e colpi di scena, resta una ferita aperta nella memoria del Paese. Una ferita che continua a interrogarci, soprattutto ogni volta che si affaccia il dubbio che la verità definitiva, quella processuale, possa non coincidere con la verità dei fatti.