“Perché si è ritirato”. Panatta su Sinner dopo Shanghai: cosa è successo davvero

Un weekend di tennis trasformato in un incubo. Il Masters 1000 di Shanghai, tra i più prestigiosi del circuito ATP, si è trasformato in una vera e propria maratona di sopravvivenza per i giocatori scesi in campo sotto un sole cocente e un’umidità soffocante. Dallo svenimento di Marton Fucsovics ai malori di Taylor Fritz e Giovanni Mpetshi Perricard,

fino ai giramenti di testa di Facundo Comesana e Novak Djokovic, il torneo cinese ha offerto uno spettacolo preoccupante. E a rendere il quadro ancora più drammatico ci ha pensato Jannik Sinner, costretto al ritiro nel terzo set contro l’olandese Tallon Griekspoor, colpito da crampi violenti che lo hanno piegato in due e costretto a usare la racchetta come un bastone per non cadere.

Le immagini dell’altoatesino sofferente hanno fatto il giro del mondo, sollevando interrogativi sempre più insistenti sulla sicurezza delle condizioni in cui si gioca. Shanghai è in questi giorni avvolta da una cappa di calore e inquinamento che rende ogni sforzo fisico quasi impossibile. Secondo i dati diffusi dagli organizzatori, durante le partite la temperatura ha toccato i 37 gradi con un tasso di umidità vicino al 95%. Una combinazione micidiale che, insieme a un livello di inquinamento dell’84% classificato come “malsano”, ha messo in ginocchio atleti abituati a giocare ovunque, ma non in condizioni così estreme.

“Finisce male”. Jannik Sinner, altra delusione dopo l’infortunio e il ritiro da Shanghai

“Bisogna parlare della sconfitta di Sinner, che non è abituale”, ha commentato Adriano Panatta durante la Domenica Sportiva su Rai 2. L’ex campione del Roland Garros 1976 ha voluto sottolineare come il problema non sia stato tecnico ma fisico: “Non perde quasi mai e arriva sempre in finale. Ma questa volta non ha perso contro l’avversario, bensì contro un problema fisico naturale, perché le condizioni di gioco a Shanghai erano brutali”.

Panatta, sempre attento alle dinamiche del tennis moderno, ha poi ampliato la riflessione: “L’ho visto molto provato, ma non solo lui: tutti i giocatori lo erano. Ci sono stati ritiri, svenimenti, malori. A Shanghai si gioca con 36-37 gradi, all’aperto e non al coperto, con un tasso di umidità del 95% e un livello di inquinamento dell’84%. In queste condizioni è sconsigliata qualsiasi attività sportiva, figuriamoci una partita di tennis da tre ore”. Parole che hanno trovato eco anche tra diversi addetti ai lavori, molti dei quali chiedono da tempo un intervento delle autorità tennistiche internazionali.

L’ex fuoriclasse romano ha poi invitato il circuito a una riflessione più profonda, andando oltre il singolo episodio: “È logico che i giocatori si lamentino, ma quando fai un’attività sportiva in tutto il mondo può capitare. Tuttavia non si può ignorare che certe condizioni mettono a rischio la salute degli atleti. Bisogna ripensare la gestione dei tornei e mettere al primo posto la sicurezza”.

Le sue parole sembrano aprire una crepa in un sistema che spesso mette l’aspetto spettacolare e commerciale davanti a quello umano. L’episodio di Shanghai ha ricordato a tutti che anche i campioni più allenati non sono invincibili e che la fatica, se esasperata dal clima e dall’inquinamento, può diventare un serio pericolo. Ora il dibattito è aperto: servirà il malore di Sinner per cambiare davvero le regole del gioco?

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