Un dolore che non conosce fine, quello di Walter Delogu, padre di Andrea ed Evan, il diciottenne morto la sera del 29 ottobre in un incidente in moto a Igea Marina, nel Riminese. Le sue parole, affidate a un lungo e commosso post su Facebook, raccontano con straziante lucidità chi fosse quel ragazzo che in pochi anni aveva saputo riempire
la vita dei suoi genitori di orgoglio, amore e silenziosa dedizione. Un giovane discreto, appassionato di cucina, con la testa sulle spalle e una maturità che andava ben oltre la sua età.
«Ho capito ieri chi eri davvero… un angelo». È con questa frase che Walter Delogu ha aperto il suo messaggio, un grido d’amore e di disperazione rivolto a quel figlio che non c’è più. Evan frequentava l’Alberghiero e, oltre allo studio, si divideva tra allenamenti in palestra e piccoli lavori per dare una mano in casa. «Faceva le serali, studiava all’Alberghiero, si allenava in palestra di mattina e poi cucinava per noi se ero impegnato o la mamma al lavoro. Quando finiva di mangiare chiedeva il permesso, lavava i piatti e poi si riposava un po’. Era un ragazzo responsabile e lavoratore», scrive il padre, che da sempre si impegna in attività di sensibilizzazione nelle scuole contro l’uso di sostanze pericolose.
>> “Addio, bambino nostro”. Morte Evan Delogu, il messaggio straziante dei genitori

Morte Evan Delogu, il messaggio del padre
L’uomo, già noto per essere stato l’autista e il braccio destro di Vincenzo Muccioli a San Patrignano, dove ha vissuto per molti anni, ricorda un figlio che aveva fatto della serietà e dell’autonomia una scelta di vita. «Ha sempre lavorato da Massimo al bagno 75 e mai ci ha chiesto un euro. Tutto se lo comprava da solo, compresa quella maledetta moto». Un mezzo amato e curato con passione, ma che ora rappresenta per lui il simbolo di un’assenza insopportabile.

Walter rievoca anche i momenti di complicità con Evan, i loro dialoghi e quella condivisione profonda fatta di curiosità e rispetto reciproco. «Mi traduceva articoli dall’inglese sulle droghe pericolose, utili alle conferenze che tengo nelle scuole per prevenire tragedie. Non beveva, non fumava, e a volte lo prendevo in giro dicendogli che era un talebano o un angelo. Ieri ho capito chi eri… un angelo». In questa ripetizione, dolce e straziante, si concentra tutta la consapevolezza di un padre che solo ora comprende quanto quel ragazzo fosse speciale, diverso, forse troppo puro per un mondo che lo ha strappato via troppo presto.


Poi, in un flusso di dolore inarrestabile, le parole si fanno preghiera: «Amore mio, perché ci hai lasciato? Fammelo sapere presto. Ho dormito nel tuo letto stanotte, perdonami, ora te lo sistemo». E ancora, un gesto simbolico, quello verso la moto: «La farò aggiustare e venderò, so quanto impegno ci hai messo, ma non la demolirò. La tua macchina arriverà venerdì, venderemo la nostra e terremo la tua per sempre».
Infine, l’addio che chiude il post come una carezza lanciata nel vuoto, destinata a un cielo che adesso appare troppo lontano: «A presto amore, tra non molto ti raggiungerò e rideremo insieme. Lassù in paradiso, fatti valere». Parole che racchiudono tutto: il dolore, l’amore infinito e la speranza che, da qualche parte, padre e figlio possano rincontrarsi.