Dopo giorni di silenzi assordanti e supposizioni a raffica, qualcuno ha finalmente deciso di prendere parola. Lo ha fatto con toni fermi e accorati la giornalista, conduttrice e scrittrice, ma soprattutto amica intima di Rocío Muñoz Morales, coinvolta suo malgrado – insieme a Raoul Bova – in quello che è ormai diventato il caso mediatico più chiacchierato dell’estate.
Una tempesta di pettegolezzi, congetture e giudizi che sta investendo le due famiglie e che, secondo lei, ha superato ogni limite tollerabile.
La giornalista rompe il silenzio con un lungo sfogo pubblicato nelle sue storie Instagram. Non fa nomi, ma le parole non lasciano spazio a dubbi: “Sono molto amica di una donna che in questo momento sta soffrendo tantissimo a causa di una valanga che le è caduta addosso. Resto in silenzio per rispetto della sua famiglia, delle sue bambine”. È il primo segnale di una solidarietà concreta, che però non si traduce in passività. Perché subito dopo Barra mette nel mirino non solo chi ha diffuso i contenuti privati al centro dello scandalo, ma anche chi – sotto pretesti di moralismo – continua a speculare sulle vite degli altri.
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“Non si tratta solo di gossip o morbosità”, afferma Francesca Barra, “augurare che il karma colpisca, ipotizzare scenari, vomitare giudizi, non porterà a niente di vero. Nessuno, e dico nessuno, a parte i protagonisti, può raccontare la verità”. Il riferimento sembra diretto a Fabrizio Corona, tra i primi a rilanciare pubblicamente le presunte chat che avrebbero innescato la bufera sulla relazione tra Bova e Morales. Ma la giornalista non risparmia nemmeno coloro che – fingendo indignazione – cavalcano l’onda per ottenere visibilità: “Chi critica il gossip e poi posta le loro foto li sta usando per aumentare i like”.

Barra spinge il ragionamento oltre, scavando nella contraddizione di un’opinione pubblica che si indigna a corrente alternata: “Vale per tutti: chi ci è antipatico, chi odiamo, chi detestiamo. Non possono circolare messaggi, foto, video, prese in giro, diffamazioni… e poi pretendere un giornalismo corretto. Coerenza. Se vogliamo un mondo più giusto, iniziamo a esserlo noi”. Un invito a fermarsi, prima di contribuire – magari con una battuta condivisa in chat – alla distruzione dell’equilibrio di intere famiglie, rese bersaglio senza alcuna pietà.


Ma è sul cuore del discorso che la giornalista affonda il colpo: l’unico aspetto realmente degno di attenzione, dice, è se sia stato commesso un reato. Tutto il resto è solo rumore. “Spioni. Tutti spioni. Tutti trasformati in detective improvvisati, a scrutare vite altrui dal buco della serratura digitale”, scrive. E aggiunge: “Davvero questo è il punto? Il punto è che dietro i pettegolezzi si nasconde qualcosa di molto più grave: la possibile esistenza di un reato e la distruzione silenziosa di più famiglie, coinvolte loro malgrado in un meccanismo perverso”.
Nel finale, la riflessione si fa ancora più amara. Barra se la prende con chi giustifica tutto con una frase ricorrente, sentita più volte in questi giorni: “Voleva diventare famosa”. Un’accusa rivolta, più o meno esplicitamente, a Martina Ceretti – la giovane al centro dello scandalo – e che secondo la giornalista rappresenta il simbolo di un degrado culturale ormai radicato. “Chi pensa davvero di poter diventare noto non per un pensiero, un’azione, un talento, ma per una relazione?”, si chiede. “Abbiamo contribuito tutti a questo equivoco, perché diamo visibilità al nulla. Che generazioni cresceremo?”.
Uno sfogo lucido e feroce, quello di Francesca Barra, che alza il velo non solo su ciò che sta accadendo a Rocío Muñoz Morales e Raoul Bova, ma su come – troppo spesso – si è ormai pronti a fare a pezzi la vita degli altri, in nome di una curiosità che ha dimenticato il valore del rispetto.